venerdì 25 gennaio 2013


Eva Domenici, pastora del Campallorzo.
La testimonianza nel libro di Manuela Giannecchini


Eva Domenici abita al Campallorzo, ed è una sorta di custode dell’Alpe. E’ solita dire che lei è la guardiana, ma i padroni sono i cani che la circondano, simili a lupi, guardinghi e sospettosi. La sua vita trascorre ancora secondo i ritmi delle stagioni, seguendo la luce del sole e le necessità degli animali che la circondano. Da poco tempo ha perso il fratello Ivo, scomparso a 78 anni, senza aver mai messo piede in ospedale. Anche Eva, nonostante qualche capello grigio, ha più energia di una quarantenne, uno spirito arguto e vivace, sempre vigile, curioso ed attento.

Quando i dolori erano gravi al Campallorzo si doveva chiamare il dottore, altrimenti ci si arrangiava con i rimedi naturali, tramandati da generazioni. Se si avevano bruciori o disturbo di di urina si beveva un decotto di gramigna. Anche l’acqua ottenuta lessando l’ortica era buona per ripulirsi...............
(da completare)


La mattina di San Giovanni, c’era chi si alzava presto e si andava a rotolare nella guazza perché si diceva che era curativa. Sempre in quella mattina, alcuni anziani coglievano i fiori di sambuo e li mettevano seccare.

C’erano poi altre erbe che venivano invece cucinate: i cavoletti, l’erba ugellina, il grugno porcino, la cicerbita, le lacciue che ormai non si trovano più nei campi.

La vita di Eva continua, così come sempre è stato al Campallorzo. Restìa al progresso o meglio a tutti gli aspetti negativi che l’accompagnano, vive ogni giorno in quel suo piccolo angolo di paradiso, con la serenità che deriva dall’aver fatto sempre il proprio dovere, accompagnata dalla fede in Dio e nella Provvidenza
Scendendo il Matanna in direzione del callare si possono ammirare Procinto e Nona, dietro il Corchia con la Pania e ancora più lontani il Sumbra, nel centro e il Sagro a sinistra.
La discesa, un pò ripida su questo versante, permette di godere uno spettacolo particolarmente interessante. In circa 30 minuti si raggiunge la croce del callare e di lì a breve l'albergo Alto Matanna.

sabato 19 gennaio 2013

La Foce del Pallone


Il presente articolo sulla storia del pallone aerostatico ideato da Alemanno e Daniele Barsi  è scaricato dal web - per visualizzare il sito clicca sul link - Alcuni brani del testo sono stati tratti da Leggende Apuane di Stefano Pucci
Mie sono invece le foto e le panoramiche realizzate nel 2011.



 
Il luogo che oggi comunemente è noto come Foce del Pallone deve il suo nome all'impresa realizzata da Alemanno e Daniele Barsi nel 1910, la costruzione di un pallone aerostatico che ebbe, come leggeremo, vita brevissima. La zona ove risaliva la funicolare non corrisponde tuttavia all'attuale Foce del Pallone, ma ad uno slargo sul sentiero 101, località colle delle Prata,  posto tra la foce del Termine (o Crocione) e la foce del Pallone. Di lì si diparte uno stradello costeggiato da un muro in pietra che raggiunge l'Alto Matanna e che vediamo nella foto sottostante. Il cavo metallico dal basso, in una zona prossima a Grotta all'onda (vedi sotto le relative foto), giungeva in questo punto.


  La storia
 
Tutto ebbe inizio con un barile di marenghi d'oro.
Un fabbro di Palagnana di nome Alemanno Barsi, bel giovanotto, robusto e deciso a far fortuna, sposò una donnina minuta, in possesso di un barile di marenghi d’oro da 20 franchi del peso di 6.452 grammi di oro fino.
Costruisce quindi un albergo al Basso Matanna (Palagnana) a quota 750 m che viene inaugurato intorno al 1890. È il periodo delle prime smanie della villeggiatura.
Il figlio Daniele rappresentante e venditore di utensili in ferro riforniva l’ampia zona della Lucchesia; nei suoi trasferimenti fa conoscenza di una bella ragazza di nome Rosetta e la sposa.

Rosetta viene delegata a dirigere l’albergo del Basso Matanna dove con molta eleganza lo arreda in stile Inglese, come andava di moda in quegli anni nella vicina Bagni di Lucca.
Alemanno, nel frattempo, costruisce un altro albergo all’Alto Matanna in località colle delle Prate, in una suggestiva vallata a quota 1100 m. Alemanno era sicuro che l’albergo “Alto Matanna” con la sua posizione incantevole, circondato da bellezze naturali delle Alpi Apuane, la bellissima veduta del mare e dell’arcipelago Toscano, con una così breve distanza dal mare e temperatura massima di 26 gradi in piena estate, poteva essere un' attrazione forte per il turista; il suo sogno infatti era quello di creare una “Svizzera Toscana”.
La zona era priva di strada carrozzabile ed i “signori” e le loro dame, accompagnati dai loro pargoli ed in qualche caso dalla servitù, raggiungevano l’albergo per mezzo di cavalli o di muli. La zona delle Alpi Apuane e dell’Alta Versilia stavano conoscendo un periodo di sviluppo turistico orientato anche in senso alpinistico, molti italiani e molti inglesi salivano le vette circostanti, ma lamentavano la mancanza di strutture ricettive e proprio la famiglia Barsi fu pioniera in questo indispensabile sviluppo in cui alla villeggiatura si aggiungeva anche il piacere di salire per le montagne.
Il famoso alpinista fiorentino Aristide Bruni citò il: “comodo e spazioso Albergo Alpino di Alemanno Barsi a Palagnana”.
Così annunciava la Rivista Mensile del Cai nazionale:
“alle Ferriere di Palagnana, a un quarto d’ora dalla foce del Callare sorge, a 687 metri, l’Albergo Alpino del Matanna tenuto dalla famiglia Barsi, sulle sponde della Tùrrite Cava in un fresco vallone, fra mezzo alle faggette e ai castagni. Vi si trova vitto, buon alloggio e prezzi modesti. Ci sono ufficio postale, stazione termo-pluviometrica e un teatrino. È codesto un importante centro di escursioni e una comoda fermata per chi voglia recarsi (10 ore di cammino) dai Bagni di Lucca a Viareggio o viceversa, attraverso una delle più attraenti regioni delle Alpi Apuane. L’albergo si trova a metà del percorso che si effettua risalendo dal Serchio l’intera valle della Tùrrite Cava nel paese delle Fabbriche e per quello di Campolemisi fino a Palagnana e alla foce del Callare, dove nasce la Tùrrite, indi sul nuovo sentiero all’Alpe della Grotta, a Stazzema e per Pontestazzemese a Pietrasanta e Viareggio. Il Barsi avrebbe delle buone idee, ma in quella come in molte altre parti delle Alpi Apuane, l’alpinista e il turista si conoscono appena per averne sentito parlare. La speranza è che dalla gita che si farà in autunno con la Sezione di Firenze per inaugurare l’albergo e visitare la via ultimata del Callare , il signor Barsi possa dare maggior sviluppo all’opera iniziata”.
L’Albergo che prese la denominazione di Alto Matanna sorse al Piano d’Orsina a 1040 metri alle pendici del monte Matanna, all’ombra di belle conifere ed in posizione molto salubre, era aperto nella buona stagione da giugno a settembre ed era dotato di undici camere.
Alemanno Barsi, insieme al figlio Daniele, fu l’ideatore della famosa e sfortunata funicolare aerostatica da Grotta all’Onda per il Colle della Prata, destinato poi a chiamarsi la Foce del Pallone, intesa a mettere in comunicazione la spiaggia della Versilia con la montagna ed il loro albergo in particolare. Tutto questo si inseriva nel desiderio dei Barsi di contribuire alla promozione del turismo montano al quale avevano già dedicato tutte le loro energie con la costruzione dei due alberghi.
Essi furono gli antesignani della famosa formula Mare-Monti che dovrebbe promuovere il turismo delle Alpi Apuane, così vicine al mare. Comunque ancora oggi questo binomio non gode del successo che sicuramente meriterebbe.


Fu così costituita una società anonima, con sede a Viareggio, dalla denominazione “Stazioni climatiche Viareggio, Camaiore, Alto Matanna” della quale fecero parte oltre ad Alemanno e a Daniele Barsi un gruppo di investitori toscani ed alcuni ingegneri milanesi che progettarono l’opera.
Fu, quindi, comprato un pallone aerostatico di seta grigia chiamato Rosetta, in onore della moglie di Daniele Barsi e fu costruita una struttura di piloni che sostenevano il cavo metallico teso tra la stazione di partenza (presso la Grotta all’Onda) e quella d’arrivo (Colle della Prata o degli Asini).
La stazione di partenza era dotata di un hangar di legno su basamento murato che serviva per il deposito del pallone, mentre una base di legno era sistemata all’arrivo.
Una navicella di vimini scorreva lungo il filo d’acciaio sfruttando la spinta ascensionale del pallone mentre in discesa era normalmente frenata, essa poteva trasportare fino a sette persone alla volta.
Naturalmente il viaggio in pallone era un lusso destinato solo ad un gruppo ristretto di persone che potevano permettersene il costo e, più semplicemente, potevano permettersi di fare una vacanza.
I turisti dovevano raggiungere Casoli in auto e da qua raggiungere la stazione di partenza a piedi o a dorso di mulo e perfino in portantina. Alla Foce di arrivo trovavano poi una carrozza che li accompagnava all’albergo in pochissimi minuti.
Il volo inaugurale avvenne, con successo, domenica 28 agosto 1910 ed in solo cinque minuti la navicella superò il dislivello di circa 300 metri portandosi alla Foce della Prata che da quel momento divenne la Foce del Pallone, come ancora oggi è chiamata.
Il successo iniziale faceva ben sperare per lo sviluppo turistico della zona infatti la speranza era quella di attirare i turisti che già affollavano le spiagge della Versilia ed in particolare di Viareggio.
L’impresa fu salutata dagli elogi della stampa locale e nazionale e si meritò anche una copertina della celebre Domenica del Corriere.
Su questo progetto però, vi era un velo di mistero.
In quella zona era presente una marginetta il cui culto era molto antico e che gli operai per realizzare il progetto distrussero. Secondo la credenza popolare degli abitanti del luogo, era stata profanata una zona sacra quale era Grotta all’Onda, e temevano che in qualche modo la forza divina si sarebbe vendicata.
Fra gli ospiti illustri che raggiunsero l’albergo con il Pallone vi furono il Re del Belgio Alberto I° con la famiglia ed un seguito di 20 persone, la Principessa di Borbone figlia del Re di Spagna, la Marchesa Sciamanna, la Baronessa Von Strantz e lo scienziato Ficher.Ma il destino beffardo era dietro l’angolo, a novembre l’intera struttura fu distrutta da un uragano: venne ipotizzato che le forze divine, il Dio della selva si era vendicato della profanazione del luogo sacro decretando la fine del sogno avventuroso dei Barsi mettendo la parola fine ad un’impresa forse un po’ avventata e alle speranze dei due albergatori.  

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Il colle delle Prata innevato

Percorrendo la "gora" sopra Trescolli si raggiunge il prato dal quale partiva il Pallone.
Nelle foto sottostanti il basamento in cemento con l'impronta di una mano di bambino, verosimilmente un parente del Barsi.








 






venerdì 18 gennaio 2013

Neve a San Rocchino


Neve a San Rocchino (18 gennaio 2013)
 
Oratorio di Sant'Jacopo a San Rocchino, 800 metri



Piglione innevato




sabato 12 gennaio 2013

Sorgenti e abbeveratoi


Cenni di storia locale

SORGENTI E ABBEVERATOI

Secondo quanto risulta dagli archivi del comune di Camaiore, nel XV secolo, esistevano sui nostri monti i seguenti abbeveratoi :
ALL’ALPE : e cioè alle pendici del Prana,poco sopra l’attuale incrocio dei sentieri 101 e 104, alla Foce di Campallorzo,s ulla destra del sentiero che prosegue verso la cima.

Attualmente in questa posizione c’è ancora una bella e copiosa sorgente perenne, che butta anche nel pieno dell’estate.

ALL’ACQUA CHIARA : lungo il sentiero 112 da Casoli alla Foce di Campallorzo, detto della “scala santa”. Siamo anche in questo caso sui pendii del Prana e la località è nominata tuttora “all’acqua chiara”. La  sorgente è perfettamente attiva tutto l’anno.

A RIPRADINA : si trova nell’imbuto prativo che precede la Foce del Termine,sul sentiero 2 da Casoli, detto delle Fontanacce.

Oggi esistono numerose piccole sorgenti che alimentano un ruscelletto fra gli ontani,che poi inizia a precipitare in cascatelle fra le rocce,dando vita ad uno dei rami che alimentano il Rio di Candalla.

Inoltre negli statuti del comune del 1470 si legge  testualmente le seguente ordinanza :

…….che li abbeveratoi dell’Alpe, di Acquachiara, et  quello di Ripratori non li possi seminare, né appresso a quelli braccia LX, et nessuno possi accusare per danno dato, appresso a braccia sexanta a dicti abeveraatoi et quelli semineranno fora delle braccia sexanta siano tenuti lassare le vie che comodamente si possi con il bestiame andare a dicti abbeveratoi…….

Sebbene con qualche impegno di traduzione di questa primitiva ma bellissima prosa burocratica,molte parole della quale ancora in uso sui monti, si riesce a comprendere il senso della disposizione comunale, con il fine di garantire alle greggi e alle mandrie il corretto ed agevole accesso alle fonti.


Infine una divertente curiosità,fuori tema,che risulta anch’essa dagli statuti del comune di Camaiore, in questo caso del 1612, in cui si specificano i diversi casi di ineleggibilità alle cariche pubbliche :

……..prohibita et inhabile qualsivoglia persona che notoriamente fusse sciocca et di poco giuditio et debole di cervello, item qualsivoglia persona vile et infame……..

Ringraziamo i nostri antenati per questa stupenda definizione, espressa in un linguaggio rude e senza giri di parole superflue, davvero molto apppropriato, in modo che nessuno possa avere dubbi sul suo significato.

Dopo quattro secoli,pur con un vocabolario di termini più aggiornati, il nostro spirito non è poi molto cambiato, se preferiamo ancora esprimerci , spesso a muso duro ,senza tanti fronzoli, andando diritti al nocciolo delle questioni, con perfetta onestà di intenti : insomma pane al pane e vino al vino,come si usa dire.
Novembre 2012

Marcello Stagetti (amici della Montagna, Camaiore)

 

venerdì 11 gennaio 2013

Il monte sacro degli Apuani

MONTE LIETO 
per approfondire vedi in: Escursioni apuane di Fabio Frigeri
 
Il Monte o Alpe di Farnocchia, sulla cui piaggia settentrionale riposa il villaggio omonimo, è una continuazione del Monte Gabbari, che sporge nella vallecola di Camajore ...
L’Alpe di Farnocchia si attacca a scirocco col Monte Gabbari; a levante col Monte al Pruno; a settentrione con l’Alpe di Stazzema e la Pania Forata; a maestrale ha l’Alpe di Terrinca; a ponente i monti del Bottino e dell’Argentiera che scendono verso Pietrasanta fra Val di Castello e Val di Rosina; a ostro i poggi di Monte Castrese e di Monte Petri, che si abbassano fino alla via Regia postale lungo il littorale di Camajore
 
 
Il Monte Lieto raggiunge la modesta quota di 1016 metri e rappresenta il punto più alto del crinale tra le Focette (o foce di Farnocchia) e la Foce di S. Anna.
Esso si trova interamente nel comune di Stazzema. Alle sue pendici est c’è l’abitato di Farnocchia, mentre a sud-ovest si trova S. Anna di Stazzema, che del primo costituì a lungo l’alpeggio estivo.
La zona attorno al monte Lieto, in Alta Versilia, è ricca di giacimenti minerali ed attirò la presenza umana sin dalla preistoria. In particolare alla fine dell’età del Bronzo (1800-900 avanti Cristo) è stata dimostrata la presenza di un insediamento umano sul monte Lieto che controllava, dall’alto, i pascoli sottostanti. In seguito con l’età del Ferro (800-500 avanti Cristo) la popolazione si spostò verso la pianura ed il mare.
Sul monte sono stati trovati reperti anche dell’età del Ferro ed inoltre reperti che documentano l’occupazione da parte dei Liguri Apuani tra il 300 ed il 200 avanti Cristo.
Quindi la montagna era ritenuta sacra sia da popolazioni antichissime, sia dagli Apuani che avevano anch’essi notoriamente il culto delle vette.
Alcuni autori sostengono che il toponimo Lieto derivi da Leto parola legata al passaggio dalla vita terrena all’aldilà.






Lungo il sentiero che parte da Sant'Anna incontriamo sulla destra la palestra di roccia del Lieto


 
Dalla cima del Lieto si gode un bel panorama sulle Panie e sul Forato
mentre sotto vediamo il monte Gabberi
 
 
Al ritorno ci fermiamo ad osservare la ricca vegetazione in mezzo alla quale affiorano le parerti rocciose del monte
 
 
 
Siamo in una splendida giornata di maggio. Abbonda la fioritura. Ci fermiamo a fotografare queste splendide globularie incastonate nella roccia.
 

Candalla

 








E’ desso [Lombrici] situato a settentrione di Camajore, da cui distà poco più di un miglio. Siede a manca di chi s’introduce fra le gole de’ monti Gabbari e Prana, che con l’estremità de’ loro fianchi risalendo in verso Tramontana, formano il canale o torrente Lombricese, cui fa barriera mesto il cipresso.



 
E’ seguito, costeggiandone le adjacenze, da grandi massi di roccie, disposte bizzarramente da natura, che coi loro acuminati dorsi tagliano obliquamente i raggi solari, e lo rendono delizioso per certa amabile malinconia.







Si direbbe luogo adatto alle ispirazioni della poesia romantica. Da per tutto, e dove meno si crederebbe, vi germoglia l’olivo, né v’ha cocuzzolo che non ne sia rivestito. Poco quindi discosto, fra l’olezzo del timo e della mortella, scaturiscono limpide acque, e la grotta di Candalla ne versa in tanta copia, che, dove fossero raccolte e dirette per condotti nella vicina pianura, apporterebbero un vantaggio incommensurabile all’agricoltura.
(G.B. Rinuccini: Di Camajore)

mercoledì 9 gennaio 2013

Il ripiano dei Pennati sul Gabberi


 Salendo da la Culla (Stazzema) sul sentiero 107 per il Gabberi troviamo, circa ad 1 ora e 15 minuti dalla partenza, sulla sinistra ed un po’ nascosta dalla vegetazione, se capita che percorriamo il sentiero nella bella stagione, la balza dei pennati. E’ questo un ripiano roccioso  sul quale si trovano incise immagini di un gran numero di roncole (o pennati) riprodotti in grandezza reale.
 
rocce lungo il sentiero


 

Lo studio  della roccia e' stato effettuato in collaborazione tra il Gruppo Archeologico di Pisa  ed il Gruppo Archeologico Speleologico di Camaiore. Per approfondire vedi il seguente link : http://www.comune.pisa.it/gr-archeologico/musvir/rawt/ripiano.htm




Il significato delle incisioni come la loro datazione risultano incerti, anche perche' queste incisioni non sono riscontrabili altrove se non nelle Alpi Apuane.
Tuttavia alcuni particolari fanno ritenere possibile che ci si trovi davanti ad un luogo di culto pagano: si tratta infatti di un luogo esposto ed in posizione panoramica, le incisioni non sono isolate ma raggruppate attorno alla vaschetta centrale. Le tracce dei pennati sembrano molto antiche e consunte. Si nota poi la presenza di  croci, di evidente  incisione piu' recente, forse in rapporto con la cristianizzazione e un possibile esorcismo  effettuato su un luogo pagano.

evidente l'incisione più recente di una croce


altra incisione sicuramente molto recente




Qualcosa di simile si trova per es. sulla spalliera del trono del Tanaccio, anche in questo caso una croce incisa con possibile significato di esorcismo (vedi la foto nella relativa sezione). Altrove (roccia del Sole) i pennati sono associati a rosoni e cerchi, simboli riconducibili alla sfera della religiosita' celtica ed esistono rappresentazioni antiche dei pennati ricollegabili al compimento di riti pagani.



suggestive escavazioni della roccia
e sotto ripiano panoramico con vista del Lieto

 




 
La rappresentazione piu' interessante e' certamente costituita da una piccola stele (ora perduta) , databile al I sec. d.C., rinvenuta nei pressi delle antiche cave di marmo delle Apuane.
Essa rappresenta un personaggio barbuto, con una pelle di animale sulle spalle, con una torcia accesa in una mano ed un pennato nell'altra.
Presenta inoltre una iscrizione dedicatoria : TRAEBIUS T(....) F(ILIUS) EX VISU, cioe' Trebio figlio di T... in persona.
Alcuni interpretano questo manufatto come una stele dedicatoria ad un personaggio rappresentato nelle vesti di una divinita' agreste minore, un tal dio Silvanus.


Questo documento potrebbe costituire una prova indiretta del significato religioso pagano delle incisioni dei pennati sulle Alpi Apuane.

vedi anche:


Sentiero n.107 da La Culla al Gabberi

panorami dal monte Gabberi


lunedì 7 gennaio 2013

La Pastora del Campallorzo

 
 
Eva Domenici (foto Fontanini)
 
"Lei è un dottore? Dio me ne scampi!” esclama la Eva, e subito indicando con la mano un quadro appeso al muro aggiunge “lo vede chi è il mio dottore?”.
“E chi?”, le chiedo  io fingendo di non avere inteso.
“Il Padreterno”.
  Eva Domenici, classe 1933, è “la Pastora” del Campallorzo. Qui è nata, qui ha scelto di continuare a vivere anche dopo che tutti gli altri abitanti della comunità del Campallorzo lasciarono il paese. Sua mamma Rosalba, del 1895, subito dopo la guerra si ammalò di forti dolori alla schiena che la costringevano a restare intere giornate a letto  lamentandosi di continuo, una grave artrosi della colonna. Si racconta che furono chiamati ben sette medici per curarla, ma tutti diedero il medesimo responso senza poter far niente per migliorare le condizioni della povera paziente. Un giorno una sua parente ch’era venuta a trovarla la rimproverò perché se ne stava sempre a letto a lamentarsi.
“Quest’anno non avete neanche festeggiato la Pasqua” le disse e l’indomani le mandò un prete a portarle la comunione.
Dopo che l’ebbe ricevuta si addormentò: quando si  risvegliò non aveva più disturbi e potè così tornare  alle occupazioni di tutti i giorni. Da allora si dice che ogni giorno pregava, per ringraziarla, la Madonna di Pompei.
Immaginette della Madonna e di Nostro Signore non ne mancano, appese a tappezzare le pareti della piccola cucina che ti accoglie all’ingresso. Incastonate con le foto dei suoi vecchi e dei fratelli (mi mostra l’immagine di un suo fratello morto giovane, negli anni ‘60, vi sono quadri ma anche semplici  ritagli di riviste con una immagine sacra.
“I miei rimedi – dice la Eva – sono quelli naturali…. e poi oggi vi ammalate troppo perché vi arrabbiate”
“Ma a volte è veramente  necessario prendere delle medicine” le rispondo io.
“Se prendi una medicina ti fa bene a una cosa e male a tre”.
“1 meno 3”- penso tra me - il risultato è negativo…e quasi mi convinco che ha ragione!
Poi mi parla di Edo,  un suo parente che ora è “alla Versilia”, mi sembra di capire che ha avuto un ictus con una recidiva a breve.
“Eh! Ma non ci si fa più nulla in questi casi, vero?” mi dice un pò rassegnata la Eva.
 In effetti Eva è stata fortunata; nonostante l’età è ancora attiva, i suoi genitori se ne sono andati uno a 88 e l’altra a 87 anni, senza aver mai toccato ospedali. Il fratello Ivo se n’è andato nel 2008 all’età di 78 anni, anche lui senza aver toccato letto d’ospedale. Insieme a lui - entrambi non si sono mai sposati -  ha vissuto al Campallorzo curando il gregge.
Si parla un po’ del vecchio paese: “E’ un peccato che negli anni la chiesina sia andata in rovina e non l’abbiano risistemata – le dico  - avrebbero potuto usarla ogni tanto per una Messa, almeno nelle grandi occasioni, com’era una volta per sant’Antonio Abate”
“Io la mia Messa ce l’ho qui  tutti giorni” mi dice la Eva mostrandomi la piccola radio con la quale ogni giorno ascolta Radio Maria. La vita della pastora trascorre semplice, intessuta di lavoro e di  preghiera ogni giorno . “Oggi mi sono  già  detta una  corona” soggiunge e poi mi parla di Mirjana, di Padre Livio, di Medjugorie, si direbbe vi fosse stata di persona.
A  mia volta  le racconto un po’ del paesino dell’Erzegovina, dove mi recai alcuni anni fa.
“ E’ una zona di contadini, ci sono ancora tanti vigneti e anche là c’è un monte coi sassi rossi, un po’ come quelli del Matanna. Si chiama Križevac, sulla cima nel 1933 ci collocarono una grande croce. I contadini nel tempo hanno dovuto ampliare e trasformare le loro case per poter accogliere i tanti pellegrini che negli anni vi affluivano. In effetti, fino a tutti gli anni ‘80, la vita della gente era ancora molto povera e non dissimile da quella che si doveva vivere al  Campallorzo nella prima metà del secolo scorso”.
“Sa cos’ha detto la Madonna l’altro giorno ”? mi domanda la Eva.
“Ha detto che bisogna aprire il cuore a Dio come i fiori si aprono al calore del sole! Ogni volta quando alla radio dettano il messaggio prendo la penna e  me lo scrivo su un foglio.  E tempo fa lo sa cosa disse  la Madonna?
Che si parla troppo e si prega poco!”
Dobbiamo lasciarci.
Torno a Casoli per la via di Ripradina col sentiero 2, è un po’ lunga ed è ora di andare.



ruderi della chiesa del Campallorzo